Martin Auer: La Strana Guerra, Racconti per una Cultura di Pace

   
 

Parole Aperte
da un Europeo

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Tradotto da Alberto Annicchiarico

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Paura
Ancora Paura
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I Contadini che ci sapevano fare coi Numeri
La Strana Guerra
Serpente Stella
Ingorgo
I Due Prigionieri
Il denaro
La storia di un buon Re
Parole Aperte
La Bomba
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Ora vorrei dire qualcosa di molto chiaro su una certa questione. Specialmente ora che in tanti menano il can per l'aia e nessuno dice ciò che pensa perché "non è educato",  perché non si fa, perché riporta alla luce dei ricordi che è meglio lasciar sepolti. Proprio per questo è necessario che qualcuno dica apertamente come stanno le cose.

Ovviamente anche gli stranieri, persino quelli del Sud e dell'Est, sono persone. Nessuno lo discute. Certo, anche loro hanno occhi, bocca e naso, proprio come noi. Provano amore e paura come noi, hanno talento o sono stupidi, come noi, e via di questo passo. Certo, fra loro, come fra noi, ci sono persone oneste e meno oneste. Quando crescono in circostanze normali, non sono più inclini al crimine di quanto lo siamo noi. Tuttavia non è questo il punto. Il punto è che noi dobbiamo difendere la nostra cultura e dobbiamo difendere la nostra prosperità, senza la quale la nostra cultura non esisterebbe. Il fatto è che qui viviamo in una delle nazioni più ricche del mondo (e questo vale per tutti coloro che possono leggere queste parole, per i tedeschi come per gli svizzeri e gli austriaci). Qui abbiamo un benessere e una struttura sociale sicura che i greci o i polacchi si possono solo sognare. Gli etiopi e i colombiani, poi, non se la possono neppure immaginare. Affrontiamo i fatti in maniera scientifica: dei sei miliardi di persone che vivono nel mondo, soltanto un miliardo vive in un Paese industrializzato. Guarda caso, noi siamo fra questi ultimi. Noi, la ricca sesta parte dell'umanità, possediamo i quattro quinti della ricchezza della Terra! Consumiamo il 70% dell'energia, il 60% del cibo e l'85% del legname del pianeta. Che accadrebbe se tutti gli altri si facessero avanti e pretendessero la loro parte? Finora solo un milione, un milione e mezzo, di poveri diavoli si sono rifugiati da noi per scampare alle persecuzioni politiche, alle guerre o alla fame. Bene, là fuori non ci sono milioni, ma miliardi di poveri diavoli che invidiano la nostra prosperità! Noi, che siamo la sesta parte più ricca, possediamo sessanta volte di più della sesta parte più povera. Questo fatto va accettato senza falsi sensi di colpa. Un tedesco consuma tanto carburante quanto ne consumano dieci neri africani. Un tedesco immette nell'aria tanta anidride carbonica (CO2) quanta ne producono 65 neri. Nella nostra parte di mondo c'è un'automobile ogni due abitanti, inclusi i bambini. In India ce n'è una ogni 455 persone. Siamo chiari, se tutti loro volessero adottare il nostro stile di vita, potremmo chiudere il pianeta! Semplicemente, non c'è abbastanza petrolio nel mondo per fare guidare un'auto anche ai neri o ai cinesi. Questi sono fatti!

Chiunque parli di giustizia mentre si beve una tazza di caffè dovrebbe soltanto pensare qual è il prezzo di quel caffè. Dieci anni fa i neri o gli indios del Sudamerica hanno ricevuto da noi l'equivalente di una locomotiva per 13.000 sacchi di caffè. Oggi se vogliono comprare una locomotiva ce ne devono consegnare 45.000. Non si può dire che questo sia un male per noi: nessuno vuol fare a meno del caffè a buon mercato. Quanti fra quelli che amano parlare di giustizia comprano spontaneamente il caffè più costoso nei negozi del commercio equo e solidale? Chi chiede, quando acquista un'economica camicia indiana o una bella sciarpa di seta, se certi articoli sono convenienti perché sono stati prodotti grazie al lavoro dei bambini? No, la solidarietà comincia a casa propria. Tutti noi pensiamo innanzitutto al nostro personale futuro e al futuro della nostra famiglia. Questa è una cosa naturale. Gli indiani o i cinesi farebbero lo stesso se fossero loro le nazioni guida nel mondo.

Non prendiamoci in giro: l'intero ordine mondiale si basa sulla supremazia dei bianchi. Dove sono i Paesi industrializzati? In Nordamerica, in Europa, in Australia, in Sudafrica e in Giappone. Non possiamo neppure includere più la Russia. Praticamente si tratta soltanto di bianchi, a parte i giapponesi.

Le nazioni industrializzate, al giorno d'oggi, danno assolutamente per scontato il dover proteggere la propria supremazia nel mondo, soprattutto attraverso la politica e l'economia. Non solo proteggiamo i nostri confini dai profughi che arrivano dai Paesi poveri, ma difendiamo anche i nostri mercati dai loro prodotti. Ad esempio, alla dogana tassiamo molto di più il cotone grezzo dei tessuti già confezionati. Importiamo il cacao, non la cioccolata. Dopotutto dobbiamo proteggere dalla concorrenza le nostre aziende di tessuti e cioccolata. In verità non abbiamo il minimo interesse a far sì che quei Paesi aprano le loro fabbriche e si "sviluppino". In fondo vogliamo continuare a vendergli i nostri prodotti industriali ad alto costo e a comprare le materie prime a basso costo.

Per garantirci la supremazia saranno sempre sufficienti i mezzi politici ed economici, come l'unità europea? Non si dovrà, forse, un giorno arrivare a prendere delle misure di tipo militare? Quando l'Impero Rosso crollò qualcuno agì per un po' come se stesse per scoppiare una pace eterna. Ma i più avveduti compresero subito che i problemi non venivano tanto dall'Est quanto dal Sud.

Dai tempi della Guerra del Golfo una cosa è molto chiara: quando Saddam Hussein cercò di mettere le mani sul Kuwait, fu bacchettato sulle mani da noi, la parte ricca, con veemenza. Per fortuna allora avevamo a che fare con un vero dittatore ed un'autentica violazione delle leggi internazionali, cosicché nessuno poté sostenere che eravamo andati oltre i nostri diritti. Ma non fu soltanto Saddam ad assaggiare la supremazia tecnologica e militare. La guerra in televisione ha mostrato a tutto il Sud chi comanda nel mondo. Il signor Milosevic, che fortunatamente e indiscutibilmente è un dittatore e un criminale di guerra, ci ha fatto un favore analogo, al punto che nessuno osa puntare il dito contro di noi per accusarci di essere corresponsabili della guerra a causa degli ultimatum e di altri atti diplomatici e omissioni inaccettabili. In ultima analisi, queste guerre erano per noi indispensabili.

Non prendiamoco in giro! Non inganniamoci su come gli altri ci vedono: chiunque fra noi può comprare un garofano della Colombia in pieno inverno per poco più di mille lire. Già, e nessuno si chiede niente in proposito? Ogni giorno degli aerei volano per mezzo mondo soltanto per portare fiori freschi dall'altra parte del globo! Neppure gli imperatori dell'antica Roma potevano permettersi simili lussi. Non siamo forse l'aristocrazia del mondo? Saremmo ingenui a raccontarci che gli altri cinque sesti del pianeta ci amano. Naturalmente non tutti beneficiamo allo stesso modo della nostra supremazia. Solo in pochi fanno sempre il vero affare, non ci si può far nulla. Siamo semplicemente una meritocrazia. E' come una gara di sci: se uno è più lento di due centesimi di secondo rispetto a un altro, non si può dire che sia uno sciatore meno bravo. Eppure soltanto in tre vincono una medaglia, gli altri non prendono niente: queste sono le regole. Certamente non siamo soltanto una meritocrazia, ma anche uno stato sociale. I più poveri fra coloro che usufruiscono della nostra assistenza sociale vivono meglio della maggior parte delle persone in Mozambico. E non è tutto. Alcuni sanno già che non vinceranno mai una medaglia e sono coscienti del fatto che non saranno mai famosi né avranno successo. Perciò sono davvero frustrati. Non ci si può far nulla. Certo, sarebbe bello se potessimo mettere al primo posto altri valori: l'amicizia, l'affinità, il senso dell'umorismo o la capacità di essere felici e vivere con gioia. In tal caso, però, non saremmo così ricchi come siamo oggi. Bisogna capire che noi dobbiamo la nostra prosperità proprio al nostro sistema di valori, nel quale il successo è in cima alla lista.

Quelli a cui resta la parte più piccola, che si considerano inutili e non necessari, si sentono umiliati e sono pieni di rabbia. Non sono forse anche loro bianchi, europei, tedeschi, membri di una nazione industrializzata? Non appartengono forse al gruppo che dichiara di essere il sale della terra? Perché non dovrebbero farne parte? Naturalmente queste persone, perlopiù giovani, non possono capire perché, da una parte, basiamo molto poco le nostre attività economiche nel mondo su principi umanitari, mentre, dall'altra parte, garantiamo degli aiuti solo a un piccolo gruppo di persone, fondamentalmente insignificante. Il loro ragionamento (certamente semplificato) è questo: se noi ci presentiamo come i signori delle altre popolazioni sul piano nazionale ed economico, perché non possiamo fare lo stesso per quanto riguarda gli individui che appartengono a gruppi stranieri, specialmente nei nostri Paesi?

Costoro trascurano che, per la nostra reputazione nel mondo, è necessario un certo grado di umanità, che d'altro canto di certo contribuisce anche al nostro successo economico. Essi trascurano anche il fatto che il costo di questa umanità (anche se ovviamente ci piace ricordarlo alla gente) non è poi tanto elevato. Le sole banche tedesche guadagnano, grazie agli interessi pagati dai Paesi in via di sviluppo sui prestiti ricevuti, quattro o cinque volte il denaro speso dal governo federale per i rifugiati e per chi chiede asilo politico. Tuttavia, qui ci sono soltanto tre rifugiati ogni mille residenti, mentre un Paese come il Malawi ha a che fare con 105 rifugiati ogni mille residenti. Fortunatamente l'85% dei rifugiati del pianeta resta nel Terzo mondo.

Nonostante tutto si dovrebbe mostrare una certa comprensione per questi giovani forse troppo zelanti e radicali, piuttosto che demonizzarli come estremisti di destra e neonazisti con annessi e connessi. Naturalmente non è gentile appiccare il fuoco alle case dei profughi oppure organizzare spedizioni punitive contro gente di colore. Questi sono metodi primitivi e brutali. Soprattutto, certi atti estremi danneggiano le nostre relazioni internazionali e, quindi, direttamente anche i nostri interessi nelle esportazioni. Tuttavia, dietro questi stupidi eccessi che sono, lo ripeto, assolutamente da condannare, c'è anche un sentimento, un pensiero del tutto realistico: è necessario erigere una barriera difensiva contro questa aggressione dal Sud.

Certo, gli eccessi vanno vietati. Si deve mantenere l'ordine. D'altra parte dobbiamo riconoscere che la premessa basilare di questi eccessi è corretta ed è la logica conseguenza della nostra posizione di potenza politica ed economica nel mondo. Forse, anzi, probabilmente, un giorno avremo bisogno di spingerci ben oltre: chi può dire che in futuro non dovremo difendere i nostri successi, la nostra posizione nel mondo anche con l'uso della forza militare? Quando un giorno saremo in piena emergenza,  quando sarà necessario difendere fino allo stremo la nostra cultura, i nostri valori e, non ultime, la nostra prosperità e la nostra preminenza nel mondo, potremo riuscirci soltanto se un salutare e forte spirito "prima la Germania", "prima l'Austria" o "prima l'Europa" sarà profondamente radicato come un valore fondamentale nelle menti e nei cuori della gente. Riguardo a ciò dobbiamo avere una chiara comprensione, non possiamo permetterci di lasciarci ingannare.

Un europeo


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